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Danni risarcibili alla Persona, Tabelle di Milano ed indicazioni della Cassazione sulla personalizzazione.

Articolo a cura dell’Avv. Daniele C. A. Borgogno

Milano, lì 31 ottobre 2017


Il danneggiato deve provare tutti i danni non patrimoniali subiti, quali il danno morale (identificabile nel patema d’animo o sofferenza interiore ovvero nella lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana), il danno biologico (da intendersi come lesione al bene salute), il danno esistenziale (costituito dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato).

Di tutti questi danni occorre tenere in considerazione in sede di liquidazione, in ossequio al principio dell’integrità del risarcimento, pur nel rispetto del carattere unitario della liquidazione, che viene violato solo ove lo stesso aspetto o la stessa voce di danno venga computato due o più volte, sulla base di solo formalmente diverse denominazioni, in realtà coincidenti (così ha precisato la Corte di Cassazione con la Sentenza N. 21939, pubblicata in data 21.09.2017; cfr., ex multis, sul medesimo punto: Cass. N. 1361/2014).

Ma in materia di danni non patrimoniali e soprattutto di personalizzazione degli stessi, bando agli automatismi.

Ed infatti, il compito cui è chiamato il Giudice, a detta della Cassazione, è individuare in primo luogo le conseguenze ordinarie inerenti il pregiudizio, quelle che subirebbe qualunque vittima di lesioni analoghe. Ciò muovendo  dalle considerazioni inerenti il danno biologico accertato. In secondo luogo dovrà individuare le eventuali conseguenze peculiari, con un criterio ad hoc, scevro da automatismi (cfr. Cass. N. 21939/2017).

Fondamentale è quindi provare in corso di causa, tramite il proprio difensore di fiducia, queste caratteristiche uniche e peculiari, che non discendono automaticamente dalla lesione al bene salute, e che debbono processualmente emergere ed essere valorizzate, per consentire al Giudice l’analisi delle risultanze probatorie e le specifiche circostanze di fatto (cfr. Cass. N. 21929/2017), prove senza le quali il Giudice non potrebbe personalizzare il danno e quindi aumentarlo rispetto alle indicazioni delle Tabelle.

Storicamente, per i danni non patrimoniali più gravi alla persona, in ragione di un vuoto legislativo, sono sorte diverse tabelle presso i Tribunali, per ovviare alla discrezionalità di liquidazione dei singoli Giudici, e che tenevano in considerazione proprio i risarcimenti erogati presso il Foro che stabiliva le tabelle.

Ma anche tali tabelle differivano da un Ufficio Giudiziario ad un altro, con la conseguenza di creare anche significative disparità sul territorio nazionale, in base a quante erano le tabelle ed a quanto venivano seguite dai Tribunali.

Ma era chiaro che, pur nella bontà di altre tabelle locali, il lavoro migliore era stato compiuto dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, che sin da subito ha avuto una vocazione nazionale.

Il riconoscimento è derivato prima dalla prassi di diversi Tribunali e Corti d’Appello che hanno progressivamente iniziato a seguire le Tabelle Milanesi, ed infine e più recentemente dalla Suprema Corte di Cassazione, dall’anno 2011 in poi (cfr. Corte di Cassazione, Sentenza N. 12408/2011).

Le Tabelle dell’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano hanno oramai valenza nazionale, ed a detta della Cassazione sono le uniche in grado di fornire parametri che possano tradurre il “concetto dell’equità valutativa” (cfr. Cassazione, Sentenza N. 10263/2015).

Vediamo quali sono i criteri per ritenere  superabili i valori tabellari, e quindi aumentabile il risarcimento del danno non patrimoniale derivante da ipotesi di illecito civile (quali, ad esempio, derivanti dalla circolazione stradale o per errate cure sanitarie), per macrolesioni permanenti (dal 10 al 100% di danno biologico).

In primo luogo, come spesso ribadito dalla Suprema Corte, nessun aumento del risarcimento monetario può essere fornito in automatico rispetto alle Tabelle od in virtù di un apprezzamento di circostanze solo asseritamente personalizzanti.

Si deve quindi procedere ad un’opportuna articolazione analitica delle voci di danno, attraverso la valorizzazione dei profili di concreta riferibilità e inerenza personale, specifica e irripetibile, esperienza di vita del soggetto danneggiato, per evitare che le richieste siano fondate su voci di danno richiedibili astrattamente per qualunque altro soggetto che abbia avuto le medesime conseguenze lesive.

La Suprema Corte, nella pronuncia in commento del 21 settembre 2017, ha in particolare esposto il seguente principio di diritto: “Con riguardo alla liquidazione del danno non patrimoniale, ai fini della c. d. ‘personalizzazione’ del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari cui la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze ‘ordinarie’ inerenti ai pregiudizi che ‘qualunque’ vittima di lesioni analoghe ‘normalmente’ subirebbe), spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, le ‘specifiche’ circostanze di fatto, ‘peculiari’ al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze ‘ordinarie’ già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata del danno non patrimoniale assicurata dalle previsioni tabellari; da queste ultime distinguendosi siccome legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individua nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sé tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento (in un’ottica che, ovviamente, superi la dimensione ‘economicistica’ dello scambio di prestazioni), meritevoli di tradursi in una differente (più ricca e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità”. (Così Corte Suprema di Cassazione, Sentenza N. 21939, pubblicata il 21 settembre 2017, Presidente Spirito Angelo, Relatore Dell’Utri Marco).